Simona Leggeri

Ho conosciuto Simona Leggeri grazie ai racconti di Alessandra. Mi descriveva con entusiasmo un museo di arte contemporanea allestito in un ex cementificio bergamasco, ricco di opere d’arte così belle da far invidia alle più celebri gallerie internazionali. E aveva ragione!
Simona, oltre ad essere un’imprenditrice nel settore delle costruzioni, è un’autentica appassionata d’arte, con studi in architettura.

La sua passione per l’arte è diventata parte del suo lavoro.
Simona, infatti, si è occupata della gestione del Museo Alt di Alzano Lombardo e ha prodotto opere su commissione per artisti, gallerie e musei.
E’ stata il primo Presidente donna dell’Associazione Nazionale Costruttori: la prima rappresentante in tacco 12 in un Consiglio che per 60 anni non aveva visto che giacche e cravatte regimental!
Oggi è consigliere del Club GAMeC, associazione che supporta la GAMeC di Bergamo.

Ho voluto coinvolgerla in questa rubrica di Brevi interviste perché sono convinto che sappia vedere lontano. Come tutti i bravi imprenditori e i più sinceri amanti dell’arte.

Sei un’appassionata d’arte e provieni da una famiglia di collezionisti d’arte. Cosa vuol dire, oggi, collezionare opere d’arte?

«Collezionare deve rimanere una passione, una mania, un ossessione, una malattia. Il vero collezionista è un onnivoro che sperimenta e ricerca in continuazione, che è talmente all’interno del meccanismo che non deve seguire le mode.
Oggi, purtroppo, per molti l’arte è un bene rifugio, un investimento. Molte collezioni, sono tutte uguali, targettizzate, composte da nomi noti e quotati, dove è facilmente riconoscibile il gallerista di riferimento.
A Piacenza, invece, sino a fine settembre, è stata prorogata la mostra sul collezionismo italiano “La Rivoluzione siamo noi” a cura di Alberto Fiz. E’ molto bella perché puoi vedere opere di grande qualità, di artisti più o meno famosi, dove il filo conduttore è la passione e dove puoi leggere le personalità di ciascuno in modo inequivocabile: dal rigoroso al poliedrico, dall’ironico allo studioso.»

Più che investire nell’oggetto in sé, collezionare è un investimento nel futuro nell’arte contemporanea, negli artisti. Ma qual è il futuro dell’arte contemporanea in Italia?

«Bella domanda!
Il vero collezionista investe nei giovani, quindi nel futuro dell’arte. Come Club Gamec sponsorizziamo un premio tutti gli anni per giovani artisti italiani, per sostenerli e per regalare un opera al museo cittadino. I giovani sono il futuro dell’arte, sono la cartina di tornasole del sistema contemporaneo, della cultura, dei meccanismi sociali, è sempre stato così. Al momento, a parte qualche eccezione, sono più i giovani che arrivano dalla Cina, dai paesi dell’Est, dall’Africa, ad avere una marcia in più; hanno “qualcosa da raccontare”, sono più motivati.
Lo scorso anno come Club Gamec siamo stati in Albania per conoscere personalmente alcuni artisti che avevano già rappresentato la loro Nazione nelle diverse Biennali. Eccellenti, anche se purtroppo non hanno un sistema dell’arte in grado di supportarli.
In Italia questo sistema c’è ma, a parte qualcuna, le Gallerie sono più improntate sui nomi conosciuti, su artisti più acclamati. Il sistema Italia, inoltre, non aiuta il contemporaneo e l’arte in genere (anche se dovrebbe considerarla il suo bene primario!), non agevola il collezionismo, non supporta i giovani artisti.
Servirebbe un cambiamento normativo, legislativo a livello nazionale, serio e continuativo. A livello culturale credo, invece, che l’esperienza Covid con le conseguenze economiche e sociali che si porterà dietro, abbia generato quella fonte di disagio, di necessità, di voglia di raccontare, che sono una delle premesse per generare nuovi percorsi, ricerche e individuare nuove chiavi artistiche.»

In tempo di crisi, è frequente pensare che l’arte e le discipline umanistiche siano sacrificabili a favore di settori apparentemente più utili e redditizi. Considerato che oltre ad essere un’appassionata d’arte sei un’imprenditrice: qual è il tuo punto di vista?

«Purtroppo quest’affermazione trova troppo spesso riscontro in Italia dove vivere del petrolio che mecenati e illuminati ci hanno lasciato in eredità, sembra un’assurdità!
L’arte in tutte le sue sfaccettature è una risorsa infinita, non solo perché creerebbe quel turismo di livello che tanto auspichiamo ma perché allarga le menti, insegna visioni differenti, allena “al bello” da cui tanto ci stiamo distaccando.
Ho molo apprezzato il progetto della Donizetti Night dell’anno scorso che ha portato la musica nelle piazze, coinvolgendo chi non sarebbe mai andato volontariamente in un teatro. Nel nostro piccolo ad Alzano facevamo così: organizzando eventi facendo in modo che chiunque potesse vedere in modo inconsueto un’opera d’arte contemporanea per cui mai avrebbe pagato il biglietto in un museo.
L’arte, come ogni cosa, è educazione e studio e sono convinta che crei non solo valore aggiunto ma anche economico. Dovrebbe essere l’ultima componente ad essere sacrificata per pensare al rilancio dei territori.»

Torniamo alla vostra passione per l’arte. E’ frequente trovare opere provenienti dalla vostra collezione esposte in giro per il mondo. E per anni è stato possibile ammirare buona parte delle opere presso un vostro museo: l’ALT. Perché questo desiderio di condivisione?

«Perché le stesse emozioni che genera in noi un’opera, è giusto che vengano sperimentate da altri. Per apprezzare un’opera bisogna vederla, toccarla con lo sguardo, farsi rapire o al contrario, rifiutarla. Ma guardarla. Perché è solo guardando in continuazione che si impara, ci si forma, si individua una propria preferenza.
Solo in fine, a mio avviso, è giusto farsela raccontare, ascoltare cosa l’artista voleva dire, o come la critica la ‘legge’.
Quando seguivo le visite guidate ad Alt, mi ero accorta che più persone richiedevano me o il papà, perché il racconto era magari meno storicistico delle ragazze dell’Accademia, ma sicuramente più sentito, più appassionato. Prestare significa condividere la propria passione. »

Ammirando la vostra collezione è un po’ come fare un viaggio nel tempo e nello spazio. Se pensi a quelle opere e agli artisti che le hanno ideate, qual è il luogo a cui pensi immediatamente?

«In primis all’ALT. Era un luogo magico, perfetto per l’arte contemporanea. Poi ripenso con il sorriso sulle labbra a quante opere sono state oggetti d’uso comune in casa, per noi, e quindi penso alla mia casa e a tante opere che avevano funzioni inaspettate: la porta-divelta di Massimo Bartolini usata come tavolo, il tacco gigante di Dimitri Kozaris come mobile da soggiorno, il calorifero rosso di Stingel come comodino…
Arte come oggetto di tutti i giorni, parte integrante della vita famigliare, tanto da mischiarsi con il guinzaglio del cane, i fiori della mamma, i libri sparsi ovunque…
Più che un luogo direi che per me ha sempre rappresentato più una sensazione, quella del calore della mia famiglia che l’ha vissuta sempre in modo inusuale e giocoso. »

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